IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI
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Cerca di comprendere lo schema narrativo che usa Calvino: come sai i personaggi del romanzo si ritrovano muti nel castello e desiderano narrare le storie delle avventure che li hanno condotti in quel luogo. Usano pertanto i tarocchi per raccontare la storia senza parlare.
Questa tecnica di Calvino si chiama "letteratura combinatoria" ed è in qualche modo legata all'informatica.
Procedi in questo modo: scegli sei tarocchi dal mazzo dei tarocchi di Marsiglia qui rappresentati https://it.wikipedia.org/wiki/Tarocchi_di_Marsiglia, racconta la tua storia (in terza persona)
UNA STORIA DI CORAGGIO, FIDUCIA E DOLORE
Mattia Bertoni
Le mani dei commensali si muovevano con frenetica invadenza nel tentativo di impossessarsi delle carte necessarie per terminare i propri racconti, creando un groviglio silenzioso: l'unico rumore udibile era il fruscio dei pregiati tarocchi che sfregavano il lungo tavolo antico. Una sagoma era però rimasta impassibile a quella confusione, come se insieme alla voce avesse perso anche le sue funzioni motorie. Avvolto da un ampio mantello blu notte, si potevano a malapena intravedere uno spigoloso mento ricoperto di un'incolta barba bianca. Improvvisamente egli batté un pugno sul tavolo che immobilizzò magicamente i commensali, come per richiedere attenzione, e iniziò il suo muto racconto. La mano serrata si aprì lentamente, rivelando uno degli arcani più ambiti: "La Stella". Corpo celeste giovane e luminoso, la carta pareva alludere alla sua origine misteriosa: figlio di una vergine e di uno spirito, fin da bambino diventò famoso per la sua chiaroveggenza e i suoi straordinari poteri di mutare la forma propria e quella altrui.
L'anziano alzò lo sguardo, mostrando occhi color blu ghiaccio, perforati dalla pupilla color pece. La mano destra, ancora nascosta, raggiunse l'altra poggiata sul tavolo, aprendosi anch'essa lentamente e mostrando il tarocco "La Torre", che iniziava ad intravedersi tra le lunghe dita, affusolate come rovi che avvolgono un tesoro prezioso. Il suo nome era Merlino, ultimo superstite della dinastia dei maghi destinato a proteggere il figlio di Uther Pendragon di nome Artù, futuro erede al trono di Camelot e fondatore del regno di Albion. La torre spezzata significava però una minaccia alla sua realizzazione.
Gli occhi dei commensali, tutti concentrati a cogliere il significato di quei tarocchi, non colsero la contrazione dolorosa sul viso del vecchio stregone, causata dallo sforzo emotivo di rivivere la sua storia. Fece un respiro profondo e procedette con il tarocco seguente: "Il Cavaliere di spade", che rappresentava un cavaliere dalla folta capigliatura bionda mentre impugnava una lunga spada, a cavallo di un bianco e fiero destriero. Il giovane Artù spiccava sugli altri per l’eleganza dell’equipaggiamento: la sua armatura era tutta di un colore blu pervinca su cui risaltavano il pettorale e gli schinieri dorati. La battaglia infuriava; il prode cavaliere si buttò proprio nel mezzo. A fil di spada gli eserciti opposti si aprirono la strada uno nell’altro come in una ferita sanguinante.
U na sola domanda era tuttavia comune ai presenti: “Chi era il nemico che minacciava il giovane erede al trono di Camelot?”. Il vecchio si fermò, le mani che si toccavano l'un l'altra solamente con i polpastrelli, come per meglio concentrarsi nella scelta del tarocco successivo. Dopo qualche secondo, lasciando tutti di stucco, ecco calare l’arcano "Il Diavolo". Un’orrenda creatura con ali di pipistrello ed estremità uncinate come artigli. Ai suoi piedi, due esseri insieme umani e animaleschi, al servizio del Maligno o per meglio dire della regina della malvagità: Morgana Pentagron. Giovane donna dagli occhi di smeraldo, Morgana era una potente strega e sorellastra di Artù. Si era allontanata dal regno di Camelot a causa del padre Uther, diventato feroce persecutore della magia. Il suo rancore era cresciuto fino ad esplodere in odio e desiderio di distruzione. In quel momento tutti i commensali capirono: Merlino doveva proteggere Artù da questa oscura minaccia.
L’ansia di conoscere il seguito della narrazione cresceva ma il vecchio mago non si fece prendere dal loro entusiasmo, proseguendo con una ricerca lenta ed accurata del quinto tarocco. Una volta individuato, lo prese e lo portò solennemente vicino al volto stropicciato, mutando la sua espressione in una sorta di sorriso di gratitudine verso quella carta che scoprì sul tavolo. Si trattava dell'"Asse di spade". Per sconfiggere l'esercito dei morti viventi inviato da Morgana verso Camelot non bastavano gli incredibili poteri di Merlino e un esercito reale equipaggiato di tutto punto. L'unica spada in grado di opporsi alla vendetta della strega era Excalibur, brando forgiato con il fuoco del grande drago Kilgharrah ed estratto dalla roccia dal futuro re di Albion. Lo scontro infuriava: profondi boati si udivano nel cielo illuminato a sprazzi da bagliori accecanti. L’affusolato ferro pareva avere vita propria e trascinare il braccio del suo possessore, trafiggendo le solide armature che si arrendevano ai suoi fendenti. Scansando l’ululato dei nemici, Artù perlustrava i confini del campo di morte. Al lume della luna, brillava vittorioso l’azzurro siderale di Excalibur.
Il vecchio narratore si fermò come se stesse decifrando lui stesso nei tarocchi una storia ancora troppo dolorosa per essere rivelata. Le mani tormentavano ostinatamente la canuta barba: Merlino non voleva scoprire l’ultima carta: "La Morte", signora dall’aspetto cadaverico, raffigurata come donna che trascina con andatura lenta ma instancabile la sua falce, la cui lama miete indiscriminatamente, senza ingiustizie o favoritismi che il denaro non potrà mai comprare. Non c’era da illudersi che le cose fossero andate diversamente. Mentre l’esercito nemico era stato sbaragliato da un giovane re ed una potente spada, Morgana sola nel fitto bosco al di fuori delle mura di Camelot, era in ascolto di ogni singolo scricchiolio di foglie, mascherato da violente raffiche di vento che si infrangevano sugli umidi tronchi e sulle scure chiome. Individuato il suo nemico, la strega gli tese un vile agguato, riducendolo in fin di vita. Proprio quando le palpebre di Artù stavano per serrarsi e l’anima abbandonare le ormai fredde membra, Merlino, pronunciando un’incomprensibile frase, lo salvò. Le ferite si richiusero, i lividi scomparirono ed il cuore riprese a battere. Ora Artù poteva fondare il glorioso regno di Albion.
Le città invisibili
Bertoni Nicolò 4d inf
La città di Desideria
La città di Desideria è circondata da alte mura che la separano dal resto del mondo. Tutto è fatto di cristallo. Durante l'alba, il sole si riflette in qualsiasi punto della città, rendendola simile a un grande diamante ambrato. Al tramonto la città si trasforma in un luccicante rubino che risplende di un bagliore intenso e incandescente. Le sue strade sembrano scavate nel quarzo; le case, incatenate tra loro, formano un enorme origami a foggia di stella. Le piazze sono deserte, tutti i piedistalli vedovi. Le statue emigrate verso luoghi dove possono essere ammirate. Desideria è una città dell’assenza.
I suoi abitanti non hanno nome, nessuno li ha mai chiamati e non sanno nominarsi. Passano la vita chiusi nelle loro abitazioni, davanti a sfarzosi specchi che riflettono il desiderio di ognuno al raggiungimento della felicità. Il nome della città, infatti, significa mancanza di stelle, nel senso di avvertire l’assenza di qualcosa che rende completi.
Gli abitanti trascorrono la loro esistenza in una dimensione parallela che li raffigura nel momento della realizzazione dei loro sogni. Questi possono essere ricchezza, potere, bellezza e successo. Tale riflesso è però illusorio, un inganno che porta a consumarsi senza agire.
I desideri crescono fino a diventare un’esigenza incontrollabile da soddisfare. Le persone invecchiano vivendo di una felicità riflessa ed inesistente. Si creano, così, folle di persone incantate davanti allo specchio, alla ricerca di qualcosa di irraggiungibile.
L’unica speranza di questa città sarebbe l’arrivo di uno straniero venuto da lontano che frantumi un primo specchio: così come le tessere del domino cadono spinte l’una dall’altra, si creerebbe una reazione a catena capace di liberare gli abitanti dal loro inconsapevole sortilegio.
Fino ad allora, Desideria, città ingannatrice, è silenziosa: tutto apparentemente si muove, ma in realtà rimane fermo.
“Il vecchio e il mare” dal punto di vista del marlin
di G.P. 4dinf
I raggi del sole di settembre colpivano la superficie del mare senza raggiungere il marlin in cerca di cibo nelle acque profonde e lontane dal porto. Pensava che nessuno di quegli esseri senza branchie e senza pinne si sarebbe spinto così a largo e così in profondità. La sua ricerca di prede stava andando male, aveva trovato solo pochi pesciolini dispersi e qualche carcassa. Affamato, il marlin decise di salire e per sua gioia trovò dopo poco delle prede: erano ammassate l’una sull'altra e, non capendo, decise di avvicinarsi. Pensò che fosse una trappola arichettata da quegli esseri... ma quando fu abbastanza vicino da scorgere la lenza, concluse: “Basta stare in guardia”
Cominciò a tastare, si allontanò un paio di volte e tastò di nuovo.
Sembra tutto apposto, pensò. Non si sono spostati e non hanno reagito.
Era molto affamato e quelle sardine erano fresche, non avrebbe potuto lasciarle lì, 'd'altronde sembra sicuro e gli esseri della superficie non sembrano essersi accorti di me, giusto?'. Iniziò a mangiare e a dirigersi verso il fondo allontanandosi. Uno strappo forte e il dolore in bocca lo misero in guardia: era stato preso.
Era già successo in passato, ma era sempre riuscito a scappare portando a largo il più possibile la barca aspettando la resa dei pescatori per via del tempo atmosferico o della corrente.
Meglio agire con prudenza, mi hanno già ingannato una volta, pensò il marlin nuotando dalla parte opposta della costa.
Arrivò la notte e il marlin trainava ancora la barca.
Potrebbe essere uno solo l’essere in superficie, pensò; fossero stati anche solo in 3 o 4 probabilmente avrebbero provato a tirarmi su.
Era stranito e stupito dalla forza di volontà e dalla resistenza dell'essere in alto, anche con il freddo della notte e la lontananza dal porto non si era mosso e non sembrava intenzionato a muoversi.
“Anche io sono resistente, non mi arrendo, soprattutto se il mio avversario è degno di me”
Passarono 2 giorni e 2 notti e il marlin era stanco: non aveva mangiato e aveva provato a strattonare la lenza e salire un po' senza ricevere colpi o altro.
“Come può essere che uno soltanto di quelli sia riuscito a stancarmi così, immagino che anche lui non sia messo bene”
Quanta tenacia possono possedere quei bipedi per resistere a strattoni e salti, pensò.
Non aveva mai incontrato un umano con così tanto coraggio e fiducia in se stesso da resistergli così tanto tempo e il marlin aveva capito che la sua ora era vicina, era stanco e sapeva che se non fosse stato ucciso da lui, un gruppo di pescecani lo avrebbe assalito. Non sopportava i pescecani: violenti e aggressivi, privi di raziocinio, sbranano e mutilano la preda lasciando la carcassa senza nemmeno la testa.
Aveva trovato alcuni suoi esemplari senza vita affondare dopo essere stati mangiati da quelli.
Preferisco combattere e perdere contro il coraggioso lassù, pensò.
Si diresse verso la superficie e cominciò a girare in tondo, aspettando solo che il figlio della terra decidesse cosa fare.
Questa volta i raggi del sole di settembre erano riusciti a raggiungere il dorso a strisce viola del marlin.